dimostrava a tutti come un popolo di individualisti come gli
italiani sapessero far fronte comune per dare vita al più bel
complesso di
calcio mai visto e mai più comparso su un campo di calcio.
La
Juventus del Qinquennio, il Real Madrid, il Santos, la Honved, l'Inter
di Herrera, l'Ajax e il Milan degli olandesi hanno rappresentato, è
vero, eventi tecnici straordinari, ma nessuno ha pareggiato il Grande
Torino.
I granata, guidati da
Valentino Mazzola, il capitano dei capitani, hanno record strabilianti
e assolutamente irripetibili. Bastava, per esempio, uno squillo del
trombettiere del Filadelfia perchè si scatenassero. Leggendaria, per
esempio, una partita romana quando il Grande Torino, in svantaggio di
un gol nel primo tempo contro i giallorossi, stabili negli spogliatoi,
durante il riposo, che non si doveva più scherzare. Fu così che
vennero segnati 7 gol a dimostrazione che quella squadra vinceva come
e quando voleva.
|
Non per nulla l'11
maggio del 1947, Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della
Nazionale, vestì dieci granata d'azzurro per una partita disputata a
Torino contro l'Ungheria.
I nostri eroi naturalmente vinsero. E
avrebbero continuato a vincere su tutti i fronti se non fosse sceso in
campo il destino più tragico per fermarli. Ma non per batterli. Perchè
quella squadra di grandi uomini e di grandi campioni è
passata direttamente alla leggenda.
|
I campionissimi uno per uno
clicca qui
Oltre ai giocatori sono periti nella
strage anche i giornalisti, dirigenti e tecnici.
Giornalisti
Renato Casalbore
Aveva 57 anni, e dal 1913 viveva per Io sport, giusto allora essendo
entrato quale direttore sportivo alla Gazzetta del Popolo di Torino.
Critico equilibrato, dalla prosa garbata, dallo spunto signorile, era
competentissimo in ogni ramo di sport: ma sovra tutti prediligeva il
calcio che egli stesso aveva intensamente praticato negli anni
giovanili. Sempre rimasto allo stesso giornale. Se ne staccava solo nel
1941 quando fondava Tuttosport assumendone la direzione e portandolo
presto ad un posto di avanguardia per esattezza di cronache, per spirito
d'iniziativa, per tempestività di critica. Era sposato ed aveva una
bambina
Luigi Cavallero
Capo dei servizi sportivi del quotidiano «La Stampa» di Torino,
Cavallero aveva 42 anni. Veniva, giornalisticamente, dalla gavetta,
poichè aveva cominciato - attorno al 1925 - a collaborare con qualche
pezzo ai giornali sportivi di allora, ancora non pensando di poter fare
del giornalismo sportivo la fonte della sua vita. Nel 1926 passava
redattore a «Il Paese Sportivo», collaborava quindi con assiduità al «Guerin
Sportivo» e nel 1929 era assunto da «La Stampa». Era ammogliato e padre
di tre figli.
Renato Tosatti
Sempre allegro e sempre indaffarato, lavoratore instancabile, sentiva la
sua responsabilità di marito e padre di tre figIi degnamente crescere.
Contava quarantanni, Genovese, aveva cominciato a farsi conoscere con
talune sue corrispondenze al «Guerin Sportivo», da lui argutamente
firmate con lo pseudonimo di «Totò»: al «Guerino» collaborava tuttora,
così come collaborava a «Tuttosport» con la firma di «Kid». Ed era ora
ai servizi sportivi di «Gazzetta del Popolo» e di «Gazzetta Sera». Aveva
seguito il «Torino» a Lisbona desideroso di prendersi una breve licenza.
Dirigenti
Agnisetta
«Gli occhi non rimangono asciutti se penso ad Agnisetta, sportivo di
gran razza; quando era alla Lega Regionale e talvolta gli andavo a
chiedere qualche giusta provvidenza per certe squadre di provincia,
andava di persona a vedere, si metteva in quattro, rendeva giustizia o
soccorreva i bisognosi senza far strappi alla legalità, perchè aveva
cuore, ma per tutti, ed era uomo d'ordine, e amava le cose giuste...».
Questo quanto ha scritto «Carlin» per il rag. Rinaldo Agnisetta.
direttore generale del «Torino». Rinaldo Agnisetta era tra le più
conosciute ed apprezzate figure di quella sportivissirna Torino che
tanti autorevoli uomini di sport può vantare. Contava 56 anni, e da
almeno quaranta primavere si dedicava allo sport, spesso assumendone
ruoli di estrema responsabilità. Cosi come quando, agendo con suprema
energia, si era trovato a sanare una dura crisi economica del «Torino»
stesso. Ebbe allora tatto e tenacia, fermezza e intelligenza; mostrò
nella contingenza virtù straordinarie di risanatore e seppe vincere.
Per il «Torino» la perdita di Agnisetta è una perdita irreparabile; il
sodalizio granata gli doveva molto... e lui ha voluto andarsene, col suo
«Torino», nel momento in cui Ia società alla quale tanti tesori di
energia e di intelligenza egli aveva dedicato, aveva raggiunto il
massimo fulgore.
Non sembrerà vero, quando il «Torino» avrà saputo superare anche il
durissirno colpo odierno, che alla immancabile rinascita non abbia
potuto contribuire anche Rinaldo Agnisetta.
Civalleri
Ippolito Civalleri, «Civa» come lo chiamavano affettuosamente, negli
ambienti del «Torino», ha lasciato pure lui, per sempre, Ia società
granata. Era l'accompagnatore ideale, capace di rendere tutti di
buonumore, ritenendo - davvero non a torto - che le lotte più difficili
bisogna saperle vincere avvicinandosi ad esse col sorriso sulle labbra.
Era ad un tempo il custode ed il protettore dei suoi giocatori, che
particolarmente a lui ubbidivano e di lui temevano Ie sfuriate
rarissime... ma che comunque c'erano quando, qualcuno, Ia faceva davvero
grossa. Non era più giovane, coi suoi 66 anni; ma lo spirito era quello
dei ventanni. Usava dire che i capelli grigi glie Ii aveva fatti venire
il «Torino».
Cortina
Insuperabile manipolatore di muscoli, in uno col fisico Ottavio Cortina
sapeva curare più volte il morale dei giocatori affidati alle sue cure;
di animo buono, generosissimo, gli atleti del «Torino» avevano trovato
in iui il loro confessore, quegli che poi - senza darne a vedere -
s'interessava per sistemare situazioni, per pianificare eventuali
dissidi. Ed oltre a tutto, in sua serietà professionale che lo portò,
infine, a divenire massaggiatore ufficiale della stessa squadra
nazionale.
I giocatori volevano gran bene a Ottavio Cortina; si fidavano di iui e
di quelli ch'egli chiamava i suoi «cinquantun anni di esperienze, spesso
dure e molte volte difficili, nella vita e nello sport».
Tecnici
Lievesley
Nato in Inghilterra 37 anni fa, nonostante la giovane età Lievesley era
già noto nell'ambiente calcistico di tutto II mondo per le sue rare
virtù di allenatore. Fra i tanti scesi l'anno scorso in Italia
dall'Inghilterra, Lievesley, forse unico fra tutti, non aveva deluso;
una volta ancora, anche in questo delicato settore di direzione, i
tecnici del Torino avevano avuto la mano felice. Non era ancora entrato
in piena conoscenza con Ia lingua italiana, eppure sapeva egualmente
farsi intendere dai giocatori ch'erano alle sue cure. Ed aveva avuto un
gran merito, a differenza di altri suoi colleghi britannici: quello,
cioè, di non applicare il sistema d'allenamento inglese agli atleti
italiani troppo dissimili per temperamento e per le stesse
caratteristiche fisiche da quelli inglesi; ma di saper plasmare lo
stesso metodo britannico sulle esigenze dei giocatori torinesi.
Cosi gli era stato dato conservare in pieno Ia «forma» dei suoi campioni
che pure erano tra quanti sostenevano Ie maggiori fatiche in quanto, a
diversità degli altri italiani, non riposavano certo quando il
calendario presentava qualche partita internazionale.
Si era trovato bene a Torino, ed in ragione di ciò aveva fatto scendere
dall'lnghilterra Ia moglie e la figlia, deciso a restare per Iungo tempo
in Italia dove aveva trovato piena cordialità e cornprensione per le sue
particolari necessità. Quando dai giornali gli accadeva di leggere un
riconoscimento alle sue innegabili qualità, si commuoveva; ritagliava il
pezzetto e Io inviava agli altri suoi parenti rimasti in Inghilterra. Si
diceva fiero di appartenere al «Torino» e di poter collaborare ai suoi
successi.
La particolare sua competenza gIi era riconosciuta negli stessi ambienti
del nostro calcio azzurro; ed anche qui, in qualche occasione, era stato
richiesto con successo pieno l'apporto della sua competenza
indiscutibile.
Erbstein
Egri Erbstein, nato a Budapest cinquant'anni fa, era già noto fra noi
Italiani ancor prima che in Italia scendesse in veste di allenatore;
egli era, infatti, stato uno dei più valenti giocatori d'Ungheria, e
come tale più volte chiamato a vestire la maglia di quella
rappresentativa. Cosi, tanti anni fa egli aveva avuto modo di allinearsi
di fronte alla nostra nazionale in cavalleresche e combattute contese.
Disporre di Egri Erbstein significava disporre di un elemento sicuro:
rapido nei giudizi, ma non mai avventato, serviva particolarmente al
«Torino» in occasione dell'ingaggio di nuovi elementi; se si considera
quanti ottimi acquisti abbia saputo portare in porto il «Torino» degli
ultimi anni, basta tale solo fatto per riconoscere di quale qualità
Erbstein poteva disporre e quanto egli potesse rendersi utile alla
società che aveva Ia fortuna di ascoltarne i consigli.
Ma Erbstein non si limitava a ciò: vera enciclopedia di competenza
calcistica egli era anche capacissimo istruttore. Lo sanno benissimo in
Ungheria (ed in parte lo sappiamo anche noi Italiani) quanti giovani
campioni sono sorti dalle sue attente cure, che vivevano sotto un alone
di paterna severità. E la riconoscenza di questi atleti da lui creati
era piena: lo si è visto ai funerali di Torino quando Fabian, venuto da
Lucca, si lasciò disperatamente andare sulla bara del suo «maestro».
Vi è da notare un particolare: Egri Erbstein non amava viaggiare in
aereo, e ogni volta che si presentava una trasferta del genere diceva
che si sarebbe rifiutato energicamente di seguire la squadra. Era stato
così anche in occasione dell'ultimo volo...
|